mercoledì 2 aprile 2014

Vita violenta.


-Il paradiso e l'inferno.

Ci andavo solo quando avevo tempo.
Non ci andavo tutti i giorni.
A pensarci ora,mi sembrava impossibile di avere a pochi passi da casa un posto incantevole come quello e l'attimo piu' bello era quando scendevo dal motoscafo e mi trovavo in un isola deserta con un immenso giardino abitato solo dalla natura.Al centro dell'isola c'era un grande padiglione abbandonato.Quella non era la Venezia dei turisti.Era un atollo di paradiso adagiato nel mezzo della laguna e conosciuto da poche,pochissime persone.
Il suono che si sentiva era il cinguettio degli uccellini,il verso dei gabbiani,il rumore dolce della laguna che si mescolava a quel suono lento e persistente delle foglie agitate dal vento o l'elica prepotente di un motoscafo che passava di li.
Adoravo calpestare il marciapede di quell' isola dove c'era qualcosa di inquieto e di affascinante allo stesso tempo.Quel luogo un tempo fu un ricovero psichiatrico che venne piu' tardi abbandonato.Quella mattina girai un po' per i vecchi e diroccati reparti,dove si respirava un aria di passato che aveva l'aspetto di chi la vita la aveva vissuta violentemente e tra grandi difficolta'.Se potessi scegliere una canzone come sottofondo a queste righe sceglierei "Sognando" di Don Backy,e disegnerei sui muri con le dita sporche di colori violenti.Come la vita.
In Italia prima della legge 180 gli ospedali psichiatrici che ospitavano i malati non erano certo un ambulatorio dove entrare ed uscire.Il tempo lasciava traccia in queste stanze di cio' che l'uomo aveva abbandonato e li vedevo ancora oggetti toccati dai malati che erano ricoverati.Mi colpiva un bicchiere di vetro nel quale vi era un cucchiaino,poggiato su di un comodino vicino a spazzature,carte e documenti,a fianco ad un letto disfatto e sporcato dal tempo.Muri ammuffiti,perdite d'acqua,pozzanghere.In un lato della stanza il soffitto crollato,marcito dalla pioggia e dalla noncuranza degli uomini.In questa stanza sembrava che qualcosa di terribile fosse successo,pareva che qualcuno fosse scappato via di corsa senza girarsi indietro e senza prendere nemmeno quei pochi  oggetti che potevan servire.Chissa' in realta' come era andata e chissa' che tratti aveva il volto della persona che per ultima aveva mescolato con quel cucchiaino e bevuto da questo
bicchiere.Chissa' se,coloro che avevan  abitato questo posto,avevano mai pensato che un giorno sarebbe capitato proprio a loro di vivere in quella stanza.
Era iniziata cosi la giornata di quel 1 giorno di Giugno del 1997.Era domenica ed io dopo essermi svegliato alla bonora avevo pensato di uscire e andare a San Clemente approfittando del motoscafo che mi traghettava da San Marco all'isola dell' ex manicomio.Brutta parola il manicomio.Un posto dal quale
non esci,da cui non puoi sottrarti.Come dal destino.
C'era vento.L'aria era umida,il cielo era grigio e non sembrava nemmeno che stesse arrivando l'estate.I gatti pero' mangiavano anche quando il cielo era nuvoloso.
Aprendo una scatoletta di carne dopo l'altra mi si arrossarono le dita della mano destra e brontolando mi chiesi come mai nel 2000 non abbiano studiato un modo piu' veloce e meno faticoso per dare da mangiare ad un gatto.La verita' e' che il gatto non era uno,ma erano tanti,decine e decine di gatti randagi portati in
un isola dove la Dingo, un associazione che si occupava di gatti randagi se ne prendeva amorevolmente cura.
Lo facevo anche io,saltuariamente,andando li ad aiutare coloro che tra scatolette e sassetti si prodigavano affinche a queste bestiole non mancasse tutto cio' di cui avevan bisogno.
Eravamo in quattro quel giorno.Solo io rimasi in cucina ad aprire scatolette.C'era la radio accesa e la musica si infilitrava dalla cucina attraversando il corridoio e rimbalzando fino ad arrivare nell'androne principale di quell enorme padiglione.Il telefono interruppe quella mia spensieratezza.Nel momento in cui arrivo' quella chiamata alzai gli occhi e vidi che le lancette di un orologio appeso alla parete segnavano le otto e quarantacinque.Credo di aver pensato che fosse strano che il telefono suonasse cosi presto di domenica mattina.Mi sciacquai le mani velocemente e con uno strofinaccio nella mano destra mi avvicinai al telefono in corridoio.Una donna,senza presentarsi chiedeva di parlare con Cesare."Sono io".Risposi.Alche' lei mi disse solamente di chiamare subito a casa mia.Riaggancio'.Io rimasi perplesso e rivolgendomi a Flavio che era in quel momento arrivato vicino a me dissi:che strana telefonata,non capisco.Una donna che parlava italiano perfetto,sembrava un ufficio,non lo so..mi diceva di telefonare....Dove devo telefonare?A casa mia o a casa dei miei genitori?E Perche'?
Senza riagganciare chiamai a casa mia.Il telefono suono' una volta sola.Qualcuno aspettava dietro l'apparecchio l'arrivo di quella chiamata.Sentivo nelle mie orecchie il cuore che mi pulsava senza sapere nemmeno  perche'.
Una voce di donna al mio pronto si mise a gridare : Cesare,e' morto !Poi sentivo piangere,gridare,sentivo un sormontarsi di voci estranee e avevo paura.Non avevo capito.Oggi credo che non volevo capire.In realta'avevo capito.Non riuscivo a rendermi conto di cosa poteva esser accaduto,ma avevo capito.Non sapevo cosa mi aspettava e non ebbi mai il coraggio di chiedere : chi?Ero terrorizzato.
Per la prima volta nella mia vita mi sentii improvvisamente come un sordo nel mezzo di un frastuono.Tutto cio' che mi circondava da quel momento sembrava lontano e irraggiungibile.Gli oggetti,i movimenti,i suoni,le voci,sembravano fotogrammi e echi.Cercavo nell'elenco del telefono il numero dei taxi,ma mi accorgevo di non essere capace di trovar la pagina.Una gran confusione,non riuscivo a distinguere i numeri,lo zero dal nove,la lettera a dalla lettera z,mi sembrava tutto uguale.Qualcuno mi aiuto'.
Nel giro di pochi minuti attraversai quell'immenso paradiso che si  trasformo' di improvviso in un inferno
di un silenzio assordante e senza via d'uscita.Qualcuno spiego' l'accaduto al taxista e lui fu molto gentile,perche' io aprii il portafogli e gli dissi subito che avevo pochi soldi con me e che questo viaggio
non era davvero previsto.Lui capi' che qualcosa di grave era accaduto e non lo ringraziai mai per avermi portato a casa con poche lire.Non potevo scendere vicino a casa,il canale era stato chiuso per dei lavori in corso e per questo venne fatta una deviazione che mi porto' a scendere in campo Santa Giustina. Arrivai in campo Santa Giustina,scesi dal taxi.Ero da solo.
Si era fermato il tempo,mi sentivo impaurito e confuso e piu' i minuti trascorrevano piu' la paura aumentava e mi sembrava di esplodere.Camminai velocemente verso casa e appena fatto il ponte vidi in fondo a una calle la prima faccia amica : Patrizia.La vidi pallida venirmi incontro e prendermi una mano.Mi guardo'e mi disse:"saro' un egoista,ma sono felice perche' avevo capito che ci avevi lasciati."
Finalmente finirono i passi interminabili sui quei masegni (i masegni sono le pietre della pavimentazione di Venezia)e,girato l'angolo di campo Santa Ternita arrivai davanti casa.
Era una casa a piano rialzato,un enorme appartamento con vista sul campo,un  bell'appartamento dove fino a poco prima si festeggiavano solo compleanni.Era la casa che avevo voluto,l'avevo scelta perche'vi era uno strano gioco di luci degno di un dipinto del Caravaggio.
Fuori della porta ricordo cinque forse sei persone vestite da infermieri e uno di loro o forse due sono dei medici.Li sorpassai ed entrai in casa senza dire niente.Sul divano seduta c'era una persona che piangeva e una ragazza che non conoscevo seduta al suo fianco.La sola frase che dissi fu :dov'e'?In quell'istante qualcuno mi prese per un braccio e mi invito' ad aspettare un momento,a sedermi un attimo.No.Oltrepassai la stanza.
Il letto era disfatto,c'era ancora quel silenzio che avevo sentito mentre calpestando l'isola,sentivo solo il rumore del mio corpo piantare i piedi per terra.
Le lenzuola scomposte,uno dei due lenzuoli non era sul letto.Era per terra e copriva il suo corpo che io scoprii completamente e che alzai di forza nel tentativo inutile di potergli parlare.Lo chiamai per nome due,forse tre volte e lo scossi con tutta la mia forza,mentre qualcuno da dietro cercava di tirarmi via.Invano.Io rimasi li finche mi resi conto che non mi poteva rispondere.

1 commento:

  1. Un po' della tua vita.......più segreta, grazie di donarcela con questa delicatezza.

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